Reato di diffamazione: cos’è, rischi e come fare querela

Un commento velenoso sotto un post, una recensione online aggressiva, una voce fatta circolare con leggerezza in un gruppo WhatsApp. Gesti che possono sembrare banali, ma che hanno il potere di ferire e danneggiare ciò che abbiamo di più prezioso: la nostra reputazione. Questo bene, l’immagine che gli altri hanno di noi, non è astratto ma concreto, tutelato con forza dalla legge. Quando viene leso attraverso comunicazioni offensive fatte in nostra assenza, non si tratta più solo di una questione di cattivo gusto, ma di un vero e proprio illecito penale. Lo strumento che la legge ci fornisce per difenderci è l’articolo 595 del codice penale, la norma che definisce e punisce il reato di diffamazione.

Reato di diffamazione

Cos’è il reato di diffamazione e quali sono gli elementi costitutivi

La diffamazione consiste nell’offendere la reputazione di una persona comunicando con altri mentre la vittima non è presente. Il bene giuridico che la norma protegge è l’onore di un individuo, inteso come il rispetto e la stima di cui gode all’interno della società, sia nella sfera personale sia in quella professionale.

Perché si possa parlare di reato, però, non basta una semplice critica. La legge richiede la presenza di elementi precisi e oggettivi. Primo fra tutti, l’assenza della persona offesa. Se l’offesa venisse pronunciata direttamente in faccia all’interessato, si parlerebbe di ingiuria, che oggi non è più un reato. La diffamazione, invece, avviene “alle spalle”, impedendo alla vittima un’immediata difesa.

Il secondo elemento è la comunicazione con più persone. La legge richiede che il messaggio diffamatorio raggiunga almeno due individui. Questo non deve necessariamente accadere nello stesso momento: è sufficiente che l’autore comunichi l’offesa a una persona e, in un secondo momento, a un’altra.

Infine, serve l’offesa all’altrui reputazione. La comunicazione deve avere la capacità concreta di ledere l’immagine sociale della vittima, di minarne il credito personale o professionale agli occhi degli altri. Non si tratta solo di parole volgari, ma di qualsiasi affermazione capace di proiettare un’ombra negativa sulla persona. Accanto a questi elementi oggettivi, è necessario anche l’elemento soggettivo, il cosiddetto dolo generico. Chi diffama deve avere la consapevolezza e la volontà di usare espressioni offensive e di comunicarle ad altri, sapendo che queste possono danneggiare la reputazione della vittima.

Differenza tra diffamazione, ingiuria e calunnia

Nel linguaggio comune questi tre termini sono spesso usati come sinonimi, ma per la legge indicano situazioni molto diverse, con conseguenze radicalmente differenti. È fondamentale fare chiarezza.

L’ingiuria era l’offesa all’onore di una persona presente. Il classico insulto “faccia a faccia”. Oggi, questo comportamento è stato depenalizzato e costituisce un illecito civile, che può portare a una richiesta di risarcimento danni ma non a un processo penale.

La calunnia, invece, è un reato molto più grave. Si commette quando si accusa falsamente qualcuno di aver commesso un reato, presentando una denuncia o una querela all’autorità giudiziaria, pur sapendo che quella persona è innocente. Qui non si lede solo la reputazione di un singolo, ma anche il corretto funzionamento della giustizia.

La diffamazione, come abbiamo visto, si colloca in uno scenario diverso: l’offesa alla reputazione avviene comunicando con almeno due persone e, soprattutto, in assenza della vittima. La distinzione è netta e cruciale per comprendere come agire e quali tutele attivare.

Analisi dell’art. 595 c.p.: diffamazione semplice e aggravata

L’articolo 595 del Codice Penale è il fulcro della disciplina sulla diffamazione. La norma non si limita a definire il reato nella sua forma base, conosciuta come diffamazione semplice, ma delinea anche una serie di circostanze che, se presenti, rendono il fatto più grave. Queste sono le cosiddette circostanze aggravanti, che comportano un inasprimento delle pene previste, proprio perché aumentano la portata offensiva della condotta.

La diffamazione semplice

Il primo comma dell’articolo 595 c.p. descrive l’ipotesi base del reato. Questa si realizza quando sono presenti tutti e tre gli elementi costitutivi di cui abbiamo parlato (offesa alla reputazione, comunicazione a più persone e assenza della vittima) senza che ricorra nessuna delle circostanze speciali previste dalla legge. È la forma più elementare di diffamazione, per la quale il legislatore prevede la pena della reclusione fino a un anno oppure la multa fino a 1.032 euro.

Le forme di diffamazione aggravata

La diffamazione diventa “aggravata” quando viene commessa in modi che ne amplificano il danno e la diffusività. La legge identifica alcune situazioni specifiche in cui la pena viene aumentata.

Una delle più comuni è l’attribuzione di un fatto determinato. Accusare genericamente qualcuno di essere disonesto è diverso dall’affermare, ad esempio, che “il giorno X ha rubato Y dalla cassa del negozio”. Un’accusa così dettagliata appare molto più credibile e, di conseguenza, è in grado di danneggiare più profondamente la reputazione della vittima.

Un’altra e oggi frequentissima aggravante è quella dell’offesa arrecata con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. In questa categoria rientrano non solo i giornali, ma anche e soprattutto internet: social network, blog, forum online e persino le chat di gruppo come WhatsApp o Telegram. La vastità e la rapidità con cui un’informazione può diffondersi online giustificano una pena più severa.

Infine, la legge prevede un’ulteriore aggravante se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o a una sua rappresentanza, tutelando così il prestigio delle istituzioni. Per ciascuna di queste forme, il codice prevede un significativo aumento della pena.

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Quando non è reato: le cause di giustificazione

Non ogni critica o espressione forte costituisce automaticamente una diffamazione. L’ordinamento giuridico bilancia la tutela della reputazione con altri diritti fondamentali, come la libertà di espressione. Esistono infatti delle “cause di giustificazione” che, se presenti, rendono il fatto lecito e non punibile.

La più importante è il diritto di cronaca. Un giornalista, o chiunque racconti un fatto, può riportare notizie potenzialmente lesive della reputazione altrui a tre precise condizioni, elaborate nel tempo dalla giurisprudenza. La prima è la verità del fatto narrato. La seconda è l’interesse pubblico alla sua conoscenza (la cosiddetta pertinenza). La terza è la forma civile dell’esposizione (la continenza), che impone un linguaggio corretto, non gratuitamente offensivo o denigratorio.

Strettamente connesso è il diritto di critica, che consente di esprimere giudizi e opinioni, anche aspre e negative, su persone o eventi. A differenza della cronaca, la critica è per sua natura soggettiva. Tuttavia, il suo esercizio è legittimo solo se non si trasforma in un attacco personale, gratuito e finalizzato unicamente a screditare la persona.

Altri casi che escludono la punibilità includono il diritto di satira, che ha limiti ancora più ampi, e la non punibilità per chi ha agito in uno stato d’ira causato da un fatto ingiusto altrui (provocazione).

Come tutelarsi: la querela per diffamazione e le prove

Chi si ritiene vittima di diffamazione deve sapere che lo Stato non interviene in automatico. Si tratta, infatti, di un reato procedibile a querela di parte. Questo significa che spetta esclusivamente alla persona offesa decidere se avviare o meno un procedimento penale.

Per farlo, è necessario sporgere querela presso un comando dei Carabinieri, un ufficio della Polizia di Stato o depositandola direttamente presso la Procura della Repubblica. È fondamentale agire con tempestività: la legge prevede un termine perentorio di 3 mesi per presentare la querela, che decorrono dal giorno in cui la vittima ha avuto piena conoscenza del fatto diffamatorio e del suo autore.

L’elemento più critico per il successo di una querela è la raccolta delle prove. Senza prove solide, ogni accusa rischia di cadere nel vuoto. Nel caso della diffamazione online, è essenziale produrre screenshot della pagina web, del post o del commento offensivo. Tali immagini devono essere il più complete possibile, mostrando chiaramente l’autore, la data, l’ora e l’indirizzo URL del sito. Per altre forme di diffamazione, possono essere decisive le testimonianze di chi ha letto o sentito le frasi offensive, copie di articoli di giornale o eventuali registrazioni audio.

Pene, sanzioni e risarcimento del danno

Una condanna per il reato di diffamazione comporta conseguenze sia sul piano penale sia su quello civile. Dal punto di vista penale, le sanzioni sono la reclusione e la multa, con importi che variano a seconda che si tratti di diffamazione semplice o aggravata. La condanna viene inoltre iscritta nel casellario giudiziale e può comportare pene accessorie.

Parallelamente, la vittima ha diritto a ottenere il risarcimento del danno subito. Questo può essere richiesto costituendosi parte civile all’interno dello stesso processo penale, oppure avviando una causa separata in sede civile. Il danno risarcibile non è solo quello patrimoniale (ad esempio, la perdita di clienti per un professionista), ma anche e soprattutto il danno morale, legato alla sofferenza interiore e alla lesione della propria immagine. In ambito aziendale, un attacco diffamatorio può compromettere anche il valore di beni immateriali, rendendo cruciale la tutela marchio registrato. Per quantificare economicamente questo tipo di danno, i giudici fanno spesso riferimento alle “Tabelle del Tribunale di Milano”, che forniscono dei parametri standard. Infine, è utile sapere che il reato si prescrive, estinguendosi, in sei anni.

Proteggere la propria reputazione non è un segno di debolezza, ma l’esercizio di un diritto fondamentale. Le parole, soprattutto nell’era digitale, possono diventare armi potenti, e subire un’offesa pubblica può avere conseguenze devastanti sulla vita personale e lavorativa. Affrontare queste situazioni richiede una conoscenza precisa delle norme e una strategia legale mirata.

Se ritieni di essere stato vittima di diffamazione o se, al contrario, hai ricevuto un’accusa ingiusta, è cruciale agire in modo informato e tempestivo. Lo Studio Legale Marzolla offre una consulenza specializzata per analizzare il tuo caso, valutare la solidità delle prove e definire il percorso migliore per tutelare efficacemente i tuoi diritti. Contattaci per un primo consulto e per fare chiarezza sulla tua posizione.

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